venerdì, ottobre 17, 2008

Identità e violenza

"Il mio primo contatto con l'omicidio avvenne all'età di undici anni. Era il 1944, nel corso degli scontri tra induisti e musulmani che hanno preceduto l'indipendenza indiana. Kader Mia era un musulmano, e per gli spietati criminali indù che lo avevano aggredito quella era l'unica identità importante. La violenza settaria oggi non è meno rozza. È una grossolana brutalità che poggia su una grande confusione concettuale riguardo alle identità degli individui, capace di trasformare esseri umani multidimensionali in creature a un'unica dimensione."

Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, in questo nuovo saggio sui temi attualissimi dell’identità e della violenza, ci esorta a considerare “l’inaggirabile natura plurale delle nostre identità” e a non brutalizzare la nostra stessa esperienza di vita personale comprimendola dentro contenitori di identità uniche. Perché, secondo il rettore del Trinity College di Cambridge, l’imposizione di una sola appartenenza, sia essa una religione o una civiltà, è divenuta troppo spesso il preludio all’esercizio della violenza e del settarismo belligerante.
“E’ palese – scrive Sen da vero pensatore cosmopolita (è un indiano di casa a Cambridge e ad Harvard) - che ciascuno di noi appartiene a molti gruppi”: la stessa persona può essere, senza la minima contraddizione, “di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz”. Per contro, argomenta Sen, le classificazioni che ci vorrebbero suddividere esclusivamente sulla base di una religione o di una civiltà spacciate per dominanti, negano non solo questa pluralità del nostro essere uomini e donne, ma dimenticano anche la nostra comune appartenenza al genere umano. E così facendo innescano la spirale delle violenze, dei soprusi e delle guerre in nome delle tradizioni, veri e propri “abusi dell’identità” collettiva che viene imposta sopra i diritti degli individui.
Dunque “l’identità può anche uccidere, uccidere con trasporto”: nel senso che l’attribuzione organizzata di un’identità può preparare il terreno a persecuzioni e lutti. Ma questo mondo lacerato dai terrorismi religiosi, dal fanatismo etnico, dall’integralismo anche dell’Occidente, che sembra inesorabilmente prigioniero dei propri vincoli e indirizzato verso la pratica dello scontro e della violenza, può ancora correggere la propria rotta. Magari ripartendo dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1945. Parola di Amartya Sen.

Sommario

Prologo
Prefazione
I. La violenza dell'illusione
II. Dare un senso all'identità
III. Prigionieri delle civiltà
IV. Affiliazioni religiose e storia islamica
V. Occidente e Antioccidente
VI. Cultura e cattività
VII. Globalizzazione e voce dei cittadini
VIII. Multiculturalismo e libertà
IX. Libertà di pensiero
Note
Indice dei nomi
Indice analitico